Quando abitavo a Lisbona, nel 1998, il fado era qualcosa che andavano a sentire i turisti, legato al passato, qualcosa insomma per cui io, ventiduenne appena arrivata in Portogallo, non provavo alcun interesse. Andai ad ascoltarlo una sera con i miei genitori quando vennero a trovarmi ma mi sembrò normale, niente di speciale, un po’ come tutte le musiche tradizionali quando sei giovane.
In realtà il mio atteggiamento non era un caso: negli anni ’90 c’era poco interesse per il fado, e in più quella musica tradizionale stava ancora scontando il fatto di essere stata “musica di regime”.
Ma andiamo con ordine. Come nasce il fado?
Nessuno lo sa. Essendo musica popolare, non si sa quasi nulla sulle sue origini, quello che si sa è che il primo fado scritto e tramandato si intitola fado do marinheiro, e si ipotizza quindi che questo tipo di musica sia nato proprio nel mare, anzi, nell’oceano, sulle navi che si allontanavano dal Portogallo per andare nelle terre colonizzate: lontananza, senso di perdita, amore, saudade per la propria città e per la propria famiglia. Saudade che andava anche nella direzione opposta: alcune delle prime canzoni raccontano della nostalgia e della preoccupazione delle mogli per i loro mariti marinai, della loro gelosia, del desiderio di vederli tornare a casa.
Il fado quindi come colonna sonora e metafora di quel Portogallo di tanto tempo fa, striscia minuscola di terra con le spalle rivolte all’Europa e lo sguardo perso nell’oceano.
Fino alla dittatura di Salazar (che comincia alla fine degli anni ’20 del Novecento) il fado rimane musica di strada, delle strade più umili di Lisbona: Alfama, Bairro Alto, Mouraria. Strade in cui il fado ancora oggi spesso acontece, succede, come mi disse Rita qualche anno fa: due o tre persone si incontrano in un bar, cantano qualche canzone, si uniscono dei passanti, una signora sdentata, una senzatetto, un turista, e si fa notte insieme, con qualche bicchiere di vino e il suono delle dodici corde della guitarra portuguesa.
Amore, gelosia, uomini e donne sconfitti dalla vita, notti passate in vicoli scuri, nostalgia: tutto questo è fado. O come cantò la più grande, Amália Rodrigues:
Perguntaste-me outro dia
Se eu sabia o que era o fado
Disse que não sabia
Tu ficaste admirado
Sem saber o que dizia
Eu menti naquela hora
Disse-te que não sabia
Mas vou-te dizer agora
Almas vencidas
Noites perdidas
Sombras bizarras
Na Mouraria
Canta um rufia
Choram guitarras
Amor ciúme
Cinzas e lume
Dor e pecado
Tudo isto existe
Tudo isto é triste
Tudo isto é fado
Tutto questo esiste, tutto questo è triste, tutto questo è fado: è stato quando ho sentito per la prima volta questa frase che il fado mi è entrato nel cuore e non mi ha più abbandonata: la musica degli ultimi che nel Portogallo dei secoli scorsi non venivano visti da nessuno ma che servivano alle navigazioni e al funzionamento della città, che vivevano in case scrostate e umide ma che avevano il cuore e la passione per cantare la loro saudade e per dire a quel fiume che diventa oceano che anche la loro vita esisteva.
Con Salazar tutto cambiò. Il fado diventò una delle “tre F” su cui il dittatore più longevo dell’Europa Occidentale costruì il suo consenso interno ed estero (Fátima, futebol, fado): Amália Rodrigues – che come vedremo in un altro post non fu mai realmente connivente con la dittatura – diventò il simbolo del Portogallo da far conoscere al mondo e il fado fu elevato a motivo di orgoglio nazionale.
Il fado venne organizzato e in qualche modo “istituzionalizzato”, fortunatamente senza mai perdere quei suoi temi principali, quelli legati ai vicoli bui della Mouraria e dell’Alfama. Piccolo dettaglio: Salazar non amava il fado, lo considerava troppo popolare, e non stimava Amália, la chiamava “a Criaturinha”, ma si sa, quando devi costruire consenso ti servi di tutto e di tutti.
Quando abitavo lì erano passati solo ventiquattro anni dalla Rivoluzione dei Garofani. Il ricordo di Salazar, di Marcelo Caetano, della PIDE e delle torture era ancora troppo fresco, e di conseguenza il fado era sì una tradizione, ma era una tradizione in qualche modo sporcata dalle mani della dittatura.
Il fado si cantava ancora in famiglia e nei ristoranti per turisti, ma rimaneva lì, come un tesoro nascosto che sapeva essere anche scomodo.
Poi però il fado è successo di nuovo. Perché il fado è, come dice la parola, fato, destino. E il destino succede, che tu lo voglia o no. La passione, la perdita, la gelosia, la sofferenza, l’amore per Lisbona, la saudade: tutto è tornato a scorrere, a farsi sentire, a dire al mondo che tutto esiste, tutto è triste, tutto è fado. E il fado ha ricominciato a vivere una vita sua, non per diventare simbolo di qualcosa ma per continuare a raccontare storie, le storie delle persone e dei loro sentimenti.
Nel 2011 il fado è stato dichiarato Patrimonio Intangibile dell’Umanità dall’Unesco e oggi le strade dell’Alfama, della Mouraria, del Bairro Alto sono piene di ristoranti che propongono il fado, i conservatori e le scuole di musica sfornano ogni anno professionisti che suonano e cantano il fado non solo in Portogallo ma anche nel mondo, e si è tornati anche a scrivere il fado, non solo a cantarlo: nuove autrici e nuovi autori propongono un fado diverso che però sa mantenere i legami con quelle strade in cui è nato.
Mariza, Ana Moura, Carminho sono tre fadiste moderne molto conosciute ma non sono le sole: Lisbona negli ultimi anni è diventata un melting pot di culture musicali, il crocevia dei musicisti lusofoni, il posto in cui fare musica è diventato un atto politico e culturale, un modo per proteggere musicisti che arrivano da situazioni difficili, un mezzo per raccontare ancora, sempre, la storia delle persone.
(La foto è di una serata meravigliosa che ho passato nel posto in cui secondo me si ascolta fado autentico, suonato e cantato benissimo, e dove il fado viene anche raccontato e spiegato: O Corrido, in campo de Santa Clara 49, nell’Alfama.)