La prima volta tornai pochi mesi dopo: era dicembre 1999 e andai a trovare il mio fidanzato americano che era rimasto lì, e con il quale avevo passato uno splendido weekend a Parigi a ottobre.
Trovai una città quasi uguale a quella che avevo lasciato. La differenza era che erano andati via tutti i miei amici dell’Erasmus, ma erano ancora lì gli amici degli ultimi mesi, che erano tutte persone più grandi di me di qualche anno, impiegate in un’azienda informatica americana. Rimasi una settimana, andai alla festa di Natale di quell’azienda, uscimmo tutte le sere, e ripartii con la sensazione di aver chiuso un cerchio. Non rividi più quel fidanzato se non tanti anni dopo, quando fece un giro in Europa e si fermò a casa mia a Torino per qualche giorno.
Rividi spesso Lisbona, e viaggio dopo viaggio imparai a conoscerla come città e non più come il luogo del mio Erasmus. Anche perché il luogo dove uno fa l’Erasmus – ce lo diciamo sempre noi ex Erasmus logorroici – è un qualcosa in più, non è fondamentale, non è ciò che rende unica l’esperienza. Certo, può aggiungere molto, ma l’Erasmus è qualcosa di straordinario al di là del posto in particolare: è il fatto di partire e andare lontano, è passare sere a parlare con persone che arrivano da culture diverse dalla tua, è il rendersi conto di essere un puntino in mezzo a un universo di storie da conoscere e con le quali confrontarsi.
Negli anni il Portogallo è cambiato molto: quando lo lasciai, nel 1999, era in grandissima crescita, fra aumento del turismo (anche dovuto all’Expo) e imponenti investimenti europei (era impossibile percorrere una strada senza vedere ogni mezz’ora un cartello di lavori in corso con il simbolo dell’Unione Europea), ma già con l’avvento dell’euro (2002), quella crescita iniziò a mostrare segnali di arresto. Il problema non fu l’arrivo dell’euro in sé, ma il fatto che la classe politica portoghese dell’epoca – in parte corrotta – non fosse riuscita a organizzare quel momento in modo adeguato. Incapacità politica quindi, e grandi necessità di importazioni a fronte di una scarsa competitività a livello internazionale delle aziende portoghesi portarono a un peggioramento continuo dell’economia, fino ad arrivare al 2011, quando, nel mezzo di una crisi mondiale che durava dal 2008, il Portogallo si trovò con un tasso di disoccupazione del 15% e un deficit pubblico dell’11%.
Entrò quindi in gioco la Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), con 78 miliardi di euro di aiuti e un piano di austerità e riforme strutturali che i governanti e i cittadini portoghesi accettarono e rispettarono con alcune (in effetti oceaniche) proteste ma soprattutto con il rigore e il contegno tipico di quella popolazione.
Furono anni estremamente difficili ma i risultati arrivarono: a maggio 2014 il Portogallo annunciò di non aver bisogno di un programma extra di aiuti, e dichiarò quindi la sua indipendenza finanziaria, e dal 2015 al 2019, anche grazie a un governo illuminato e all’impressionante ripresa del turismo, ricominciò a crescere, diventando uno dei casi da manuale di interazione virtuosa fra UE e paese membro.
La Lisbona degli anni di crisi me la ricordo bene. Era fine 2007, ci passai andando in Brasile, rimasi due notti e due giorni che si rivelarono 48 ore di pioggia e di incontri con amici che nel frattempo erano cambiati, io ero cambiata, la pensione in cui dormivo era orrenda, la città mi sembrava scura, umida, inospitale, piena di sofferenza. È probabile che questa mia impressione fosse falsata da come stavo io (era un momento un po’ difficile, e la decisione di partire per il Brasile da sola ne è la dimostrazione), ma di sicuro Lisbona stava facendo fatica a resistere e a restare viva e scintillante come era stata tempo addietro.
Dopo quella volta tornai nel 2013, e ricordo bene la felicità nel sapere e soprattutto nel vedere che le cose stavano andando meglio. Erano i primi di giugno, e io ero lì con cinque amiche per il mio addio al nubilato. La foto del post è proprio di quel viaggio: il cielo era azzurro come solo a Lisbona sa essere, le jacarandas erano in fiore e Lisbona pulsava di promesse, di futuro, di ottimismo.
Mentre scrivo, il Portogallo è di nuovo in lockdown, nel pieno dell’emergenza Covid. Si prevede una discesa del Pil del 7%, e fra le persone c’è angoscia e incertezza, come in tutto il mondo. Ma il Portogallo ha un’arma in più: la sua è una storia di continue ricostruzioni e rinascite. Il Portogallo sa rialzarsi, lo fa da secoli, lo farà anche questa volta.
Per approfondimenti:
https://www.lastampa.it/economia/2017/07/09/news/il-grande-risveglio-del-portogallo-in-sei-anni-dal-fallimento-al-boom-1.34592163
https://www.ilsole24ore.com/art/lisbon-story-portogallo-bailout-crescita-record-con-bilancio-ordine-AEmwM2QB?refresh_ce=1
https://www.ilfoglio.it/economia/2017/05/11/news/modello-portogallo-133983/